La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha indirizzato un duro colpo alle politiche migratorie del governo italiano, stabilendo che la designazione dei cosiddetti “Paesi sicuri” deve essere soggetta a una verifica giurisdizionale approfondita. L’intervento dei giudici di Lussemburgo nasce da un quesito posto dal Tribunale di Roma, a proposito dell’accordo tra Italia e Albania che prevede il trasferimento dei migranti in centri albanesi. La sentenza afferma chiaramente che la scelta di considerare un Paese “non problematico” deve basarsi su informazioni trasparenti e accessibili, e che i migranti devono poter contestare tale classificazione attraverso strumenti legali effettivi.
Il governo italiano ha reagito con fermezza, accusando la Corte di invadere uno spazio che non le compete e ribadendo che la responsabilità su queste questioni è politica e non giudiziaria. In una nota, Palazzo Chigi ha difeso la legittimità degli accordi bilaterali con Paesi terzi come parte integrante della strategia nazionale per la gestione dei flussi migratori e ha espresso il timore che l’ingerenza della giustizia europea possa ostacolare le procedure di rimpatrio, rallentando gli iter burocratici e riducendo l’efficacia delle politiche di contrasto all’immigrazione illegale.

La decisione della Corte evidenzia la crescente tensione tra l’autonomia degli Stati membri e l’azione giuridica dell’UE, ponendo Roma davanti a un bivio politico e normativo. In vista dell’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo previsto per giugno 2026, il governo sarà probabilmente chiamato a rivedere la lista dei Paesi sicuri, con possibili impatti rilevanti sulla gestione dei rimpatri e sulla narrativa istituzionale italiana in materia di migrazione.

