12 Dicembre 2025

Iraq, al crocevia del conflitto

Il conflitto tra Israele e Iran ha messo in stato di allerta tutto il Medio Oriente, con molti dei paesi che si sono ritrovati con droni e missili a sfrecciare nei propri cieli scambiati da entrambe le parti. Ma lo stato che fra tutti ha avuto il posto in prima fila in questo conflitto è stato l’Iraq.

L’Iraq sin dal 2003, con la caduta del regime di Saddam Hussein, è stato sottoposto all’influenza esercitata dalle potenze estere, principalmente da Iran e Stati Uniti, su un governo debole e instabile. In seguito alla caduta del regime, il paese si è ritrovato travolto da profonde divisioni etnico-religiose (Tra curdi, sunniti e sciiti), che hanno alimentato un clima di sfiducia e instabilità costante e la debolezza delle istituzioni ha reso il Paese vulnerabile all’infiltrazione delle milizie e all’estremismo. A partire dal 2013, l’Iraq si è visto coinvolto in un sanguinoso conflitto con l’ISIS, che ha raggiunto il suo apice tra il 2014 e il 2017, quando Mosul e altri territori chiave sono finiti sotto il controllo del califfato. Nonostante la liberazione ufficiale del territorio nel 2017, cellule dormienti dell’ISIS sono ancora attive soprattutto nelle regioni settentrionali.

Nel contesto odierno, con lo scoppio del conflitto Israele-Iran e l’intervento militare diretto degli Stati Uniti a supporto di Tel Aviv, l’Iraq si trova nuovamente al centro di una tempesta geopolitica. Il governo centrale, guidato da Mohammed Shia al-Sudani, è sotto forte pressione da parte americana per mantenere la stabilità e contenere le reazioni delle milizie sciite filo-iraniane, che nel corso degli anni hanno esteso il proprio controllo su importanti settori dello Stato: dalle forze di sicurezza alle infrastrutture, passando per il sistema giudiziario e mediatico.

Fino ad ora, i gruppi sciiti armati (Tra cui Kataib Hezbollah, Asaib Ahl al-Haq e Harakat al-Nujaba) hanno mantenuto un profilo relativamente basso nel conflitto israelo-iraniano. Tuttavia, con l’intensificarsi delle minacce iraniane di una ritorsione diretta sulle basi americane in Iraq, la tensione è salita. Gli Stati Uniti hanno evacuato personale non essenziale da Baghdad e rafforzato le difese delle proprie basi nella regione, allo stesso tempo anche il governo iracheno ha rafforzato le misure di sicurezza temendo un’escalation incontrollabile.

La situazione si fa ancora più preoccupante considerando il delicato equilibrio interno del paese: Le forze curde nel nord, già in parte autonome, potrebbero cogliere l’occasione per rafforzare ulteriormente la propria posizione; Le comunità sunnite, da sempre emarginate dalla politica centrale dominata dagli sciiti, potrebbero rispondere a eventuali provocazioni o attacchi armati riattivando milizie locali o cercando protezione da potenze sunnite come l’Arabia Saudita; In parallelo, la Turchia osserva con attenzione ogni segnale di instabilità nel Kurdistan iracheno, pronta a intervenire militarmente se necessario, soprattutto per contenere le milizie curde legate al PKK.

Il rischio concreto è che l’Iraq si trasformi in un campo di battaglia per procura, in cui le potenze regionali e internazionali si scontrano indirettamente. Se la situazione dovesse degenerare si aprirebbe la possibilità di una nuova guerra civile su base religiosa ed etnica, con la frammentazione del territorio in zone di controllo separato: un sud dominato dalle milizie sciite, un centro conteso tra sunniti e gruppi governativi, e un nord curdo de facto indipendente.

In un contesto così fragile, ogni attacco o errore strategico potrebbe innescare una spirale di violenza difficilmente controllabile, portando l’Iraq ancora una volta sull’orlo del collasso.

di Tepid

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