Giugno 8, 2025

Maggio 2025

Referendum dell’8 giugno: perché votare SÌ o NO?

Mentre il governo Meloni e gran parte dell’informazione italiana mantengono un silenzio assordante sul referendum dell’8 giugno, abbiamo pensato di raccontarvi ciò che sembrano quasi volere “nascondere”. Le consultazioni riguardano temi cruciali per il lavoro e la cittadinanza, ma senza una reale informazione, il rischio è che l’affluenza sia troppo bassa per incidere. Saremo noi a spiegarvi nel dettaglio i quesiti, le implicazioni e le ragioni dietro questo silenzio mediatico. Perché un voto consapevole è un voto che conta.

Il referendum abrogativo offre la possibilità di cancellare o mantenere alcune norme attualmente in vigore. Ma quali sono le ragioni per votare e quali per votare NO?

Le ragioni per votare SÌ

Chi sostiene il ritiene che le norme attuali siano ingiuste o inefficaci e che la loro abrogazione possa portare a miglioramenti concreti:

  • Tutela dei lavoratori: L’abrogazione del contratto a tutele crescenti permetterebbe il reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa, garantendo maggiore sicurezza occupazionale.
  • Maggiore equità per le piccole imprese: Eliminare il tetto massimo alle indennità per licenziamenti illegittimi garantirebbe risarcimenti più equi ai lavoratori.
  • Più garanzie nei contratti a termine: L’abrogazione delle norme attuali renderebbe più difficile il ricorso ai contratti precari, favorendo la stabilità lavorativa.
  • Sicurezza sul lavoro: Eliminare l’esclusione della responsabilità solidale nei contratti di appalto aumenterebbe la tutela dei lavoratori in caso di infortuni.
  • Cittadinanza più accessibile: Dimezzare da 10 a 5 anni il requisito di residenza per ottenere la cittadinanza italiana faciliterebbe l’integrazione degli stranieri. Questo quesito, in particolare, aiuterebbe a ridurre i tempi della burocrazia e graverebbe, quindi, meno sulle nostre tasse.

Le ragioni per votare NO

Chi sostiene il NO ritiene che le norme attuali siano necessarie per garantire stabilità economica e sociale:

  • Mantenere la flessibilità occupazionale: Il contratto a tutele crescenti favorisce le assunzioni, evitando rigidità che potrebbero scoraggiare le imprese.
  • Proteggere le piccole imprese: Eliminare il tetto massimo alle indennità potrebbe mettere in difficoltà le aziende più piccole, aumentando i costi e riducendo le assunzioni.
  • Evitare vincoli eccessivi nei contratti a termine: Le attuali norme permettono alle imprese di adattarsi alle esigenze del mercato, evitando rigidità che potrebbero frenare l’occupazione.
  • Limitare i costi per le aziende: Mantenere l’attuale normativa sulla responsabilità negli appalti evita oneri aggiuntivi per le imprese, garantendo competitività.
  • Cittadinanza con criteri più rigidi: Alcuni ritengono che ridurre il requisito di residenza possa abbassare gli standard di integrazione e creare problemi burocratici.

L’importanza della partecipazione

Indipendentemente dalla posizione, è fondamentale partecipare al voto. Il referendum abrogativo richiede il raggiungimento del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto per essere valido. Senza una sufficiente affluenza, il risultato non avrà effetti concreti.

Qualunque sia la tua opinione, informarsi e votare è essenziale per contribuire al futuro del Paese. Ed è inoltre necessario che si voti a prescindere dalla propria idea al riguardo, nel rispetto dei valori democratici.

La Fujian e il J-35: La Nuova Frontiera della Marina Cinese

La Cina continua a rafforzare la propria capacità militare con lo sviluppo della portaerei Fujian, la più avanzata della sua flotta, e del caccia stealth di quinta generazione J-35. Secondo un recente rapporto della televisione di stato CCTV, la Fujian ha completato una serie di test intensivi in mare, mentre il J-35 ha effettuato voli di prova, segnando un passo cruciale verso l’operatività.

La Portaerei Fujian: Un Salto Tecnologico

La Fujian è la terza portaerei dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) e la prima dotata di catapulte elettromagnetiche, una tecnologia che migliora significativamente la capacità di lancio degli aerei rispetto ai tradizionali sistemi a vapore. Con una stazza di oltre 80.000 tonnellate, è la più grande nave da guerra convenzionale al mondo e rappresenta un’evoluzione rispetto alle precedenti portaerei cinesi, la Liaoning e la Shandong.

Questa nuova tecnologia consente alla Fujian di lanciare aerei più pesanti e sofisticati, aumentando la capacità operativa della marina cinese nelle missioni di difesa costiera e nelle operazioni di scorta marittima a lungo raggio.

Il Caccia Stealth J-35: La Risposta Cinese all’F-35

Il J-35, sviluppato dalla Shenyang Aircraft Corporation, è un caccia stealth di quinta generazione progettato per operare dalle portaerei. È dotato di motori gemelli, una baia interna per le armi e avionica avanzata, caratteristiche che lo rendono comparabile all’americano F-35C.

Il J-35 è stato progettato per operare in ambienti ad alta minaccia e rappresenta un elemento chiave nella strategia della Cina per sviluppare una marina moderna e capace di proiettare potenza oltre i propri confini.

Implicazioni Strategiche

L’entrata in servizio della Fujian e del J-35 potrebbe trasformare il panorama militare asiatico. La combinazione di una portaerei avanzata con caccia stealth di ultima generazione permetterà alla Cina di migliorare la propria capacità di operazioni navali a lungo raggio, aumentando la sua influenza nelle acque del Pacifico e oltre.

Inoltre, la Cina ha recentemente aumentato il proprio budget per la difesa del 7,2%, portandolo a circa 266 miliardi di dollari, segno di un impegno crescente nel rafforzamento delle proprie capacità militari.

Con questi sviluppi, la marina cinese si avvicina sempre più agli standard delle flotte occidentali, ponendo nuove sfide strategiche per le potenze regionali e globali.

Tra crescita e recessione: l’equilibrismo economico degli Stati Uniti secondo Trump

“La cosa importante è che l’economia cresca più velocemente del debito.” Con queste parole, il segretario al Tesoro Bessent ha riassunto una delle grandi verità dell’economia americana. Ma il grafico che accompagna la sua dichiarazione – diffuso dall’analista Luke Gromen – racconta una realtà più complessa: negli ultimi 60 anni, il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti è diminuito solo in due tipi di scenari. O in periodi di alta inflazione, come tra il 1965 e il 1985 o più recentemente tra il 2020 e il 2023, oppure durante bolle speculative, come quella tecnologica degli anni ’90.

In entrambi i casi, gli investimenti a lungo termine in titoli del Tesoro americano (i cosiddetti “long-term USTs”) tendono a soffrire. Se l’inflazione cresce, il valore reale dei rimborsi futuri si erode. Se si forma una bolla finanziaria, i capitali si spostano su asset rischiosi e più redditizi, lasciando i titoli sicuri a rendimenti più bassi.

Ma è un’altra riflessione – riportata da The Kobeissi Letter – a far discutere gli osservatori: e se un rallentamento economico fosse, paradossalmente, proprio quello che Donald Trump desidera?

Secondo alcuni analisti, una recessione potrebbe aiutare Trump a raggiungere molti dei suoi obiettivi economici in un colpo solo:

  1. Abbassare l’inflazione, riducendo la pressione sui prezzi al consumo;
  2. Far calare i rendimenti dei titoli di Stato, rendendo più facile finanziare il debito;
  3. Ridurre il disavanzo commerciale, anche grazie a tariffe doganali;
  4. Spingere la Fed a tagliare i tassi d’interesse, allentando la stretta monetaria;
  5. Far scendere il prezzo del petrolio, aiutando consumatori e imprese.

Dopo l’aumento improvviso dei rendimenti obbligazionari, pare che la sola leva comunicativa – come gli annunci su nuovi accordi commerciali – non basti più a influenzare i mercati. Così, per alcuni, una recessione “strategica” potrebbe risultare più efficace di quanto sembri.

È una visione cinica, forse provocatoria, ma non del tutto fuori luogo nel contesto attuale: un’America che cerca di contenere il proprio debito senza sacrificare la crescita. E una politica economica dove, a volte, il male minore può sembrare l’unica strada possibile.

Palermo ricorda Falcone tra memoria e polemiche

Palermo ricorda Falcone tra memoria e polemiche

Palermo ha commemorato il 33° anniversario della Strage di Capaci, l’attentato mafioso che il 23 maggio 1992 costò la vita al giudice Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Le celebrazioni ufficiali

La Fondazione Falcone, presieduta da Maria Falcone, ha organizzato eventi istituzionali per onorare la memoria del magistrato. Il fulcro delle celebrazioni è stato il Museo del Presente, inaugurato a Palazzo Jung, che raccoglie oggetti appartenuti a Falcone e Borsellino. Alla cerimonia hanno partecipato tre ministri, autorità civili e militari, oltre a numerosi studenti coinvolti in iniziative educative.

Alle 17:58, ora dell’esplosione della bomba, il Silenzio è stato suonato dal trombettiere della Polizia di Stato, accompagnato dalla lettura dei nomi delle vittime da parte di Piero Grasso.

Le polemiche e la contromanifestazione

Parallelamente alle celebrazioni ufficiali, si è svolta una contromanifestazione promossa da CGIL, Libera e Next Gen, con il corteo “Non chiedeteci silenzio”, che ha criticato le istituzioni e denunciato il rischio di oblio e omertà. Il corteo ha protestato contro l’anticipo del minuto di silenzio davanti all’Albero Falcone, considerato un gesto di esclusione.

Anche Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha partecipato alla manifestazione alternativa, sottolineando la necessità di una memoria attiva e di un impegno concreto contro la mafia.

Un anniversario tra memoria e divisioni

La commemorazione di Falcone continua a dividere Palermo tra chi celebra la memoria istituzionale e chi chiede maggiore trasparenza e impegno nella lotta alla mafia. Il Museo del Presente rappresenta un passo avanti nella conservazione della memoria, ma le polemiche dimostrano che il dibattito sulla giustizia e sulla lotta alla criminalità organizzata è ancora aperto.

Scossa ad Harvard: l’amministrazione Trump vieta l’iscrizione di studenti internazionali

Una decisione che ha fatto tremare le fondamenta del mondo accademico americano: l’amministrazione Trump ha vietato ad Harvard University di accogliere nuovi studenti internazionali. È un colpo diretto a una delle istituzioni più rinomate degli Stati Uniti, simbolo dell’eccellenza accademica a livello globale.

La notizia è arrivata attraverso una lettera firmata da Kristi Noem, segretaria alla Sicurezza Interna, inviata giovedì alla direzione dell’università. Nel documento si comunica che Harvard ha perso la certificazione del programma per studenti e visitatori di scambio, un requisito indispensabile per poter iscrivere studenti stranieri. E l’effetto della revoca è immediato.

La misura si inserisce in un quadro più ampio di tensione tra l’amministrazione Trump e le università d’élite, che il presidente accusa da tempo di essere centri di diffusione di ideologie “woke” — un termine spesso usato in senso critico per indicare una sensibilità progressista verso temi sociali come razzismo, disuguaglianze e diritti civili.

Non solo: Harvard, come altre università, è stata criticata dalla Casa Bianca anche per la gestione di episodi di antisemitismo nei campus, giudicata insufficiente.

L’esclusione degli studenti internazionali rappresenta un duro colpo non solo per Harvard, che ogni anno attrae migliaia di candidati da tutto il mondo, ma anche per l’immagine degli Stati Uniti come polo accademico globale. In un contesto in cui l’istruzione superiore è spesso anche una diplomazia culturale, la decisione rischia di isolare ancora di più l’America dai giovani talenti stranieri.

Resta ora da capire se e come la storica università di Cambridge reagirà a questa mossa, e quali saranno le conseguenze per il panorama universitario nazionale e internazionale.

Addio al centesimo: gli Stati Uniti dicono basta alla moneta da un penny

È la fine di un’era per le monetine di rame che da più di un secolo tintinnano nelle tasche degli americani. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato che presto non verranno più coniati penny: l’iconica moneta da un centesimo è destinata a scomparire.

La decisione, confermata da una portavoce del Tesoro e anticipata dal Wall Street Journal, arriva dopo anni di dibattito e porta con sé un risparmio significativo: ogni penny, infatti, costa quasi quattro centesimi per essere prodotto. Un paradosso che, secondo i calcoli del governo, pesa per circa 56 milioni di dollari ogni anno.

L’ex presidente Donald Trump aveva già lanciato la proposta di eliminarli lo scorso febbraio, presentandola come una misura di buon senso economico. Ora, con l’ultima ordinazione di metallo grezzo per i penny già effettuata, il conto alla rovescia è iniziato: una volta esaurite le scorte, la produzione sarà ufficialmente chiusa.

Gli Stati Uniti non sono i primi a compiere questo passo. Paesi come il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia hanno già abbandonato le loro monete da un centesimo, adattando la propria economia a un sistema di arrotondamenti automatici nei pagamenti in contanti.

Per molti americani, il penny non era più utile da tempo. Eppure, per altri, resta un simbolo culturale legato alla figura di Abraham Lincoln e al mito della parsimonia quotidiana. Con la sua uscita di scena, si chiude un piccolo ma significativo capitolo della storia monetaria degli Stati Uniti.

L’Australia invia carri armati Abrams all’Ucraina, ma Washington non è convinta.

L’Australia ha iniziato a spedire 49 carri armati M1A1 Abrams dismessi verso l’Ucraina. Si tratta di mezzi corazzati di fabbricazione americana, noti per la loro potenza ma anche per la complessità logistica e i costi elevati di manutenzione. I carri sono attualmente in viaggio via mare, anche se il governo australiano non ha rivelato dove si trovino o quando arriveranno, citando motivi di sicurezza.

Durante un incontro notturno a Roma, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha ringraziato il primo ministro australiano Anthony Albanese per l’invio, confermando che la flotta è ufficialmente diretta al fronte.

I carri armati sono americani, quindi l’Australia, prima di cederli a un altro Paese, ha dovuto ottenere l’autorizzazione da Washington. Questa è una prassi comune nei contratti militari per controllare la destinazione finale degli armamenti sensibili.

Sebbene gli Stati Uniti abbiano dato il via libera, diversi funzionari a Washington hanno espresso, in forma anonima, frustrazione per la decisione australiana. Uno di loro ha spiegato che

“già l’anno scorso avevamo avvertito l’Australia: questi carri sono difficili da gestire, e una volta sul campo l’Ucraina potrebbe avere problemi a mantenerli operativi”.

Gli Abrams sono macchine molto avanzate, progettate per essere usate da eserciti dotati di una logistica complessa, pezzi di ricambio, carburanti speciali e tecnici qualificati. L’Ucraina, già sotto pressione per sostenere il suo esercito, potrebbe faticare a mantenerli in funzione.

Il ministro della Difesa australiano Richard Marles ha preferito non commentare direttamente queste preoccupazioni, ma ha assicurato che tutto si sta svolgendo in coordinamento con gli Stati Uniti e l’Ucraina.

Questa vicenda mostra come anche gli aiuti militari all’Ucraina siano soggetti a equilibri delicati tra alleati. Da un lato c’è il bisogno urgente di armamenti per resistere all’invasione russa, dall’altro ci sono dubbi sull’efficacia e la sostenibilità di certi equipaggiamenti. Inoltre, mette in luce il ruolo crescente dell’Australia nella coalizione di Paesi che supportano Kyiv, nonostante si trovi dall’altra parte del mondo.

Missili Houthi sfiorano un F-35 americano: cresce il rischio di escalation nel Mar Rosso.

Secondo un’inchiesta del New York Times, un missile terra-aria lanciato dagli Houthi ha quasi colpito un F-35 statunitense — il fiore all’occhiello della superiorità aerea americana — impegnato nell’Operazione Rough Rider. Il jet è stato costretto a manovre evasive per evitare l’impatto. In precedenza, gli Houthi avevano già abbattuto sette droni MQ-9 Reaper, del valore di circa 30 milioni di dollari ciascuno, ostacolando la capacità di sorveglianza USA nella regione.

Gli analisti avvertono che, nonostante i sistemi di difesa aerea Houthi siano considerati rudimentali, la loro alta mobilità e imprevedibilità li rende particolarmente insidiosi. Molti missili sono improvvisati, con sensori a infrarossi e armamenti riadattati, capaci di evitare la rilevazione anticipata anche dai radar americani più avanzati.

Inoltre, gli Houthi dispongono di sistemi moderni forniti dall’Iran, come i Barq-1 e Barq-2, capaci — secondo fonti del gruppo — di colpire a distanze fino a 70 km e altitudini oltre i 20.000 metri.

Lo scampato abbattimento di un F-35 da parte di un gruppo ribelle come gli Houthi solleva interrogativi gravi sulla vulnerabilità delle forze occidentali in scenari asimmetrici. L’incidente segnala anche la crescente efficacia delle armi iraniane distribuite a proxy regionali, trasformando i conflitti locali in banchi di prova per tecnologie avanzate. Se un caccia stealth di quinta generazione può essere minacciato da un SAM improvvisato o iraniano, le implicazioni per la sicurezza globale — e per un potenziale confronto diretto con Teheran — sono enormi.

Spagna: secondo un’analisi demografica, gli spagnoli potrebbero diventare minoranza entro il 2045

Un rapporto del demografo Alejandro Macarrón (CEU-CEFAS), basato su dati dell’INE e di Eurostat, prevede che gli spagnoli nativi diventeranno minoranza in alcune province già dal 2035, e su scala nazionale a partire dal 2045, se le tendenze attuali non cambieranno. Le cause principali sono: bassa natalità, invecchiamento della popolazione e immigrazione non regolamentata. Le regioni più colpite saranno Catalogna, Paesi Baschi e Madrid, dove il sorpasso demografico avverrà tra il 2038 e il 2039.

Da quando Pedro Sánchez è diventato presidente del governo, si registrano oltre 620.000 spagnoli autoctoni in meno e più di 2,7 milioni di stranieri in più. Considerando anche i figli nati da madri straniere (quasi 600.000 dal 2018 al 2024), il saldo diventa ancora più netto: 1,2 milioni in meno di spagnoli nativi e 3,3 milioni in più di popolazione immigrata.

Al di là delle narrazioni ideologiche, lo studio solleva interrogativi concreti su futuro demografico, sostenibilità sociale, politiche migratorie e natalità. Una popolazione in rapido mutamento, senza strategia, può generare tensioni culturali, squilibri economici e fragilità nei sistemi di welfare.

La Germania ha posto fine alla sua opposizione all’energia nucleare

La Germania ha posto fine alla sua opposizione all’energia nucleare in un importante cambiamento sotto la guida del cancelliere Friedrich Merz, accettando di sostenere gli sforzi francesi per trattare l’energia nucleare alla stregua delle energie rinnovabili nella legislazione dell’UE.

“Questo rappresenterà un cambiamento di rotta significativo,” ha affermato un funzionario tedesco, mentre un alto diplomatico francese ha osservato che “tutti i pregiudizi contro l’energia nucleare nelle leggi dell’UE saranno rimossi”.

Berlino sta anche esplorando una cooperazione più stretta con Parigi sulla deterrenza nucleare contro la Russia, con un funzionario tedesco che ha dichiarato:

Ora siamo finalmente aperti a parlare con la Francia della deterrenza nucleare per l’Europa. Meglio tardi che mai.